10 Ottobre 2024: Aurora Boreale sul cielo delle Dolomiti, fotografata ( da Cortina) da Simonetta
10/05/2024 – Passo Giau ( Dolomiti, provincia di Belluno)
Spettacolare aurora boreale della notte del 10/05/2024 |
10/05/2024 – Pomagagnon (Dolomiti, nord di Cortina d’Ampezzo)
Spettacolare aurora boreale della notte del 10/05/2024 |
29 Marzo 2024 – neve sul Becco di Mezzodì ( da Simonetta)
30 Gennaio 2024: Simonetta – alba sul Becco di Mezzodì
Ancora una bellissima fotografia del Becco di Mezzodì ( la “montagna di Roberta” ) , inviata da Simonetta. |
10 Gennaio 2024: Simonetta,
Ecco una magica immagine di Cortina, di questa mattina 10 Gennaio 2024, che Simonetta ci ha inviato per metterla nelle immagini particolari del nostro sito.Natale 2023: Simonetta
Il Monte Pelmo ( Dolomiti bellunesi) si colora di rosa per augurare serene festività a tutti gli amici di MIA.5 Dicembre 2023- LA MONTAGNA DI ROBERTA
Novembre 2023: Simonetta
Dalla nostra cara Simonetta ecco le immagini spettacolari dell’ Aurora Boreale del 6 Novembre 2023 sulle nostre Dolomiti di San Vito di Cadore. Evento rarissimo, immortalato da queste sue fantastiche foto. Con l’augurio caro che possano portare stupore e sorrisi a tutti i pazienti miastenici.Dicembre 2023:
RACCONTIAMOCI II
di Franco Porfido
I dolci di Natale della “mia tradizione”
Sono convinto che noi miastenici abbiamo tanto da raccontare della nostra vita di prima e di quella che siamo oggi dopo aver asceso il calvario della nostra malattia con affanno d’animo e con grandi preoccupazioni, anche famigliari, e con la paura di non farcela. Simonetta lo fa in maniera stupenda con le sue foto mozzafiato. La conquistata serenità che ci è stata restituita dalla nostra magica Roberta, ci ha infuso anche la gioia di poterci interessare di altro uscendo dal guscio spinoso dei nostri tristi ricordi. Ne abbiamo tanti, invece, anche di belli. Ce li dobbiamo godere e condividerli. Ci potrebbe far bene quella che può essere chiamata la terapia dei ricordi, ovvero compiacersi delle cose belle che abbiamo fatto nella nostra vita e di quelle che facciamo anche oggi, e dei sogni che coltiviamo. Questa terapia di rovistare nella cantina della nostra memoria ci può aiutare a convincerci che siamo ritornate ad essere persone “sane” pur sempre in allerta per la durata della nostra vita. Rimaniamo sentinelle della nostra esistenza facendo continuamente tesoro degli insegnamenti robertiani ricevuti, ma anche energici nella convinzione che siamo persone “sane” che sanno vivere di leggerezza. Ciò premesso, ho voglia di raccontare i dolci di Natale della “mia tradizione”. Sono quelli che faceva la mia mamma e, prima di lei, la sua mamma e, sicuramente, anche quella prima di lei. Principe della preparazione dei dolci natalizi era il vincotto. Sono di Santeramo in Colle (Bari) situato sulla Murgia barese, territorio brullo, pieno di pietre che sembrano sculture perché forgiate dal tempo e dal sudore dei nostri amati contadini. Non c’è una pietra uguale all’altra e tutte insieme sono state utilizzate per la costruzione di muri a secco che dividevano i poveri poderi e per tirare su i “casedde” ovvero vani circolari alla maniera di quelli meravigliosi di Alberobello. I nostri, anche se più piccoli e più ruvidi, non sono da meno. Peccato che qualcuno li distrugga per venderne le pietre. Nel passato questo “mercato”, era molto florido. Li demolivano per ricostruirli nelle ville dei possidenti soprattutto del Nord. Ebbene, questo territorio è pieno di alberi di ulivo, mandorli e di fico, anche se oggi moltissimi di loro sono stati abbandonati. Nel passato, invece, la bacchiatura delle olive e delle, mandorle insieme al raccolto dei fichi hanno sostenuto l’alimentazione di intere generazioni della trascorsa Civiltà Contadina. Dalla raccolta e dalla spremitura dei fichi dopo averli bolliti, le nostre nonne facevano il vincotto. Eviterò di scrivere la ricetta perché se lo facessi, sicuramente sarebbe quella del vincrudo. Confesso che in vita mia – e me ne vergogno – non ho mai fatto un uovo al tegamino. Figurarsi avere l’ardire di dispensare ricette. Con il vincotto venivano guarnite, dopo opportuna e magistrale preparazione, tre delizie: i “pettle”, i “cartdete” e i “mustazzedde”. Che roba sarà mai? Più che di parole murgiane, sembrano termini del più profondo Africa. Vi assicuro, invece, che sono tre stupende parole della mia terra che amo e amerò sempre, nonostante la modernità che non sempre fa bene. Se penso ai valori – quello del rispetto in particolare dentro e fuori la famiglia in primis e tra le nazioni – e li confronto con quelli idi oggi mi viene lo spavento. Ma questo è un altro argomento serio, molto serio. Se questa generazione non recupera questi valori, prima o poi andrà a sbattere. Mi preoccupo soprattutto per le nuove generazioni e per quelle future. La cronaca nazionale e internazionale di questo ultimo periodo credo abbia turbato non tutti ma moltissimi. Ma ritorniamo ai nostri dolci perché se continuo a divagare, rischiano di bruciare nel forno a legna dove ora li “ho infornati”. I “pettle” (le pettole) altro non sono che piccoli pizzi fritti, dalla grandezza di un uovo. Al termine della frittura venivano immersi nel vincotto riscaldato e poi trapuntati, come le stelle del cielo, con cannella e buccia di limone. A mangiarli, nessun paragone con il panettone, anche fin quello più sofisticato! I “cartedete” (le cartellate, nella foto) invece, sono delle creazioni di pasta a forma di rose schiacciate. Non trovo altra definizione migliore; la loro altezza è di circa due centimetri. Uscite dal forno, vengono immerse nel vincotto. Infine i “mustazzedde”, (i mustaccioli) un miscuglio di farina ed altri aromi impastati con il vincotto diluito. Se chiudete gli occhi, ne sentirete il profumo e la fragranza. Mettendo a confronto il gusto di questi dolci della tradizione con i dolci consumistici dell’attualità, vi giuro che non trovo alcuna comparazione. Sono “etnie” diverse e contrapposte. “Venite, allora, a Santeramo in Colle. Mi raccomando, non come turisti ma come ospiti”, direbbe Rampello nel suo servizio settimanale a Striscia la Notizia.
Franco
Novembre 2023 – scrive Franco:
RACCONTIAMOCI
La geniale invenzione della nostra cara Roberta di raccogliere e pubblicare in questo sito le nostre storie è davvero straordinaria. Rivedo il mio calvario e la mia rinascita in ognuna di esse perché i nostri vissuti sono allo stesso tempo uguali e diversi. Sono stati come tanti ruscelli capricciosi di montagna che con i loro zig zag e i loro sobbalzi più o meno impetuosi, hanno concluso il loro scorrere nella quiete delle acque tranquille della ritrovata serenità interiore senza mai dimenticare la discesa accidentata percorsa. Bello è allora leggere le nostre esperienze e di come il proprio ruscello, quello della vita di ognuno di noi, abbia riscoperto la voglia di ritornare prepotentemente in gioco pur non dimenticando quelle volte nelle quali eravamo sommersi dalla paura di essere travolti dalla veemenza e dall’irruenza di quel ruscello in piena della nostra malattia che nei primi momenti della sua manifestazione ci ha scaraventati tra i marosi più spaventosi. Ma, quando tutto sembrava finito nello stagno della rassegnazione, è arrivato per ognuno di noi e per tantissimi altri come noi, il dono della rinascita. Le acque prorompenti si sono ritirate, è arrivata la bonaccia del cuore per noi e per i nostri affranti famigliari che insieme a noi si erano dimenati nella piena di quelle acque quando ci stavano travolgendo. Per nostra fortuna non è stato così. Siamo riemersi, tratti a riva e adagiati sul bagnasciuga della nostra convalescenza per poi essere restituiti pienamente alla vita. Quando parliamo di noi, infatti, si tratta di questo: siamo stati restituiti pienamente alla vita! Come, allora, non rimanere affascinati dalle straordinarie foto dell’aurora boreale di Simonetta, o da quelle di Irene sul Kilimagiaro o dall’impresa ciclopica di Adriano nella sua cento chilometri del Passatore? Come non fare tutti i tentativi visivi possibili per leggere la dedica incorniciata di Giuseppe? A me sembra, riflettendo su questi “dettagli” che sprizzano entusiasmo da tutte le parti, che abbiamo tutti una gran voglia di raccontarci, di dimostrare prima di tutto a noi stessi che valiamo qualcosa e anche di più in termini di interesse e di partecipazione alla vita del mondo, di aver superato i nostri momenti critici e di avere ora forza ed entusiasmo per veleggiare nelle acque della nostra ritrovata tranquillità scoprendoci, fotografi, atleti, poeti, scrittori, ecc. Proviamoci ancora. Raccontiamo, ad esempio il nostro Natale, le nostre tradizioni, tante cose belle che custodiamo nel cuore come pure i nostri hobby, le nostre difficoltà e i nostri desideri. Da “ex” pazienti, dimostriamo a noi stessi che siamo stati restituiti pienamente alla vita e che abbiamo una gran voglia di essere competitivi non per primeggiare ma per volerci bene pur non conoscendoci ancora di persona. Pur sapendo che con la nostra amica malattia faremo tutto intero il tratto di strada che ci rimane della nostra esistenza, abbiamo bisogno di tanto in tanto di “dimenticarla” ma senza smettere di raccontarla in questo spazio. Da non dimenticare mai, invece, quel salvataggio in pieno turbinio di acque agitate quando siamo stati presi per mano dalla nostra cara Roberta. Il suo cuore è divenuto da allora e per sempre il nostro cuore, ma anche àncora della nostra salvezza, vita della nostra vita, mamma di ognuno di noi. Se decidessimo da questo momento in poi di elevare all’unisono i nostri sinceri ringraziamenti alla nostra cara Roberta e alla squadra dei suoi valenti Collaboratori come un vinile inceppato dalla puntina di un grammofono o come il gocciolio di una comune fonte d’acqua da sistemare, sarebbero solo spiccioli rispetto al tesoro della vita che abbiamo gratuitamente ricevuto.
Santeramo in Colle (Bari), 18 novembre 2023 Franco Porfido